Obiettivo fondamentale di un’odontoiatria moderna è risparmiare più possibile tessuto dentale durante le manovre restaurative ed in particolare il tessuto più nobile cioè lo smalto. Esso infatti è il tessuto chiave della moderna odontoiatria restaurativa adesiva, ed il suo mantenimento corrisponde inevitabilmente ad una maggiore probabilità di sopravvivenza nel tempo del complesso dente-restauro.
Che tipo di restauro indiretto post-endodonzia?
Ancora oggi quando si argomenta di restauri indiretti post-endodontici il collegamento istintivo inevitabile è con la corona completa ed il perno. Ma soffermiamoci su alcuni aspetti biomeccanici.
Innanzi tutto il dente trattato endodonticamente, rispetto al dente vitale, ha inevitabilmente subito dei cambiamenti a diversi livelli, tra cui l’ultrastruttura tissutale e la configurazione cavitaria che, come conseguenza, causano un indebolimento biomeccanico dell’elemento rispetto al corrispondente elemento vitale. In particolare modo la perdita di tessuto conseguente a carie, fratture, precedenti interventi restaurativi, alla preparazione per la cavità di accesso, all’uso degli strumenti endodontici e dei liquidi irriganti, rendono il dente trattato endodonticamente più suscettibile alla frattura radicolare. Per questo motivo tale elemento deve essere protetto in modo adeguato.
Sappiamo che nella sua sollecitazione fisiologica e parafunzionale, vettori di stress a componente prevalentemente laterale, scaricandosi all’interno di una struttura non più protetta dalla dentina inter-assiale residua (in altre parole dal tetto della camera pulpare), portano alla inevitabile conseguenza di mandare in stress tensivo le pareti residue con il grave rischio di un fallimento catastrofico e sua frattura corono-radicolare. L’obiettivo dei restauri indiretti, quindi, risulta essere la protezione tramite la copertura, parziale o totale, delle cuspidi del dente spostando quindi tali vettori dal centro alla sua periferia dove sono più tollerati.
I restauri indiretti adesivi
Le strutture cardine dal punto di vista biomeccanico in un elemento sano sono il tetto della camera pulpare, che però perdiamo con il trattamento endodontico, le creste marginali, che spesso non sono più presenti in questi elementi che andiamo a restaurare ed infine la dentina cervicale. Quest’ultima, spesso e volentieri, è l’unica unità strutturale di resistenza residua su cui poter fare affidamento. Nella tradizionale restaurativa protesica tale struttura, al momento in cui il dente viene limato a 360° per una corona, prende il nome di “Effetto Ferula”.
Tutta la letteratura internazionale su questo punto esprime parere concorde: l’effetto ferula è il principale fattore di successo a lungo termine nel restauro di un elemento trattato endodonticamente. Ma la letteratura va anche oltre affermando che, se manca struttura per un adeguato effetto ferula, questa è talmente “PREZIOSA” che va obbligatoriamente ricercata anche a costo di sottoporre il paziente a manovre invasive come l’estrusione ortodontica e/o l’allungamento chirurgico della corona clinica. Quindi vediamo come tutta la letteratura mondiale quanto ritiene “PREZIOSA” la struttura cervicale residua.
A questo punto affrontiamo altri aspetti fondamentali: come abbiamo già affermato, nella restaurativa protesica classica, il dente trattato endodonticamente tradizionalmente viene riabilitato con una corona completa spesso associata ad un perno. Ma questo, per quale motivo?
In un passato in cui non esisteva ancora l’adesione vigeva il dogma della preparazione dei denti per “Forma di ritenzione e Resistenza” per cui era fondamentale preparare i monconi a 360° per ottenere pareti assiali contrapposte ed raggiungere quindi il giusto grado di ritenzione. Nei testi base di preparazione protesica (vedi per es lo Shillingburg) si dovevano eseguire configurazioni geometriche precise come la preparazione a 6° su monconi che avessero una altezza minima di almeno 5 mm. Da tutto questo derivava che la nostra preparazione del moncone inevitabilmente coinvolgeva la struttura a livello cervicale, andando a demolire lo smalto e parzialmente la dentina che, come abbiamo detto, spesso e volentieri risultava essere l’unica struttura di supporto residuo. Venendo a mancare quindi struttura periferica in un elemento che già risultava altamente compromesso nella struttura centrale (per le manovre endodontiche) portava l’odontoiatra alla inevitabile manovra di inserire un perno di ritenzione!
Ma al giorno d’oggi tutto questo è ancora necessario?
Con l’adesione il dogma della “Forma di ritenzione e resistenza” secondo noi non ha più ragione di esistere!!!
Oggi come oggi il legame che si crea fra substrato dentale e materiale restaurativo condizionabile (per intendersi composito e ceramica) è di tipo micromeccanico/chimico ampiamente sufficiente ad ottenere quella ritenzione clinicamente efficace da evitare configurazioni geometriche di preparazione tipiche del passato.
Tutto questo porta a non dover estendere la nostra preparazione a livello cervicale per aumentare la ritenzione meccanica del restauro, evitando di sacrificare quella “PREZIOSA”struttura a livello cervicale. Infatti qui stava il Grande Paradosso del passato: recuperare la preziosa struttura cervicale anche con manovre chirurgiche invasive per poi distruggerla subito dopo nella preparazione per una corona completa in virtù di una ossessiva ricerca a tutti i costi del miracoloso “Effetto Ferula”!
In realtà non ci si soffermava assolutamente sul fatto che se l’unica struttura in grado di opporsi ai carichi flettenti e torsionali era la struttura cervicale dell’effetto ferula, era proprio questa la struttura che andava salvaguardate e non violata. L’altro aspetto grave è che, nella preparazione per una corona completa purché “minimamente invasiva” quello che regolarmente viene asportata è la porzione nobile della parete cioè lo smalto!
Ma è proprio lo smalto che sappiamo essere il miglior substrato per l’adesione e quindi per il sigillo e la ritenzione ma non solo, lo smalto è anche il nostro miglior alleato biomeccanico nell’irrigidire la parete residua e quindi resistere ai carichi flettenti e torsionali che possono condurre ai fallimenti catastrofici!
Ovviamente infine, sulla scala dell’aggressività è chiaro che da un restauro coronale parziale saremo sempre in grado di passare ad un restauro più invasivo come la corona completa mentre chiaramente l’inverso risulterà sempre una strada non praticabile.
Quindi, in era di adesione, a nostro avviso, la preparazione per Restauri Parziali Indiretti Adesivi (RPIA) risulta essere la modalità moderna e meno invasiva per restaurare elementi singoli trattati endodonticamente!
A nostro avviso, la mancanza a tutt’oggi di una validazione in letteratura da parte di revisioni sistematiche serie (che comunque inevitabilmente devono seguire l’utilizzo clinico della nuova modalità di restauro) non può costituire il solo pretesto per sconsigliare il restauro adesivo del dente trattato endodonticamente. L’utilizzo clinico di questa modalità di restauro da oltre venticinque anni pratichiamo in modo regolare, ci conforta infatti con i suoi successi. La nostra restaurativa post-endodontica infatti da allora ci ha portato a non fare più corone complete su elementi singoli sia vitali ma anche trattati endodonticamante divenendo quindi meno aggressiva rispetto al passato ma anche infinitamente più semplice, efficace e veloc
Materiali e spessori per un restauro parziale adesivo posteriore.
Ci sono diversi fattori da considerare quando si deve scegliere il materiale per un RPIA nel settore posteriore. Ovviamente i materiali verso cui ci possiamo orientare sono, semplificando, il composito ed il Disilicato di Litio.
Un primo aspetto fondamentale che secondo noi deve essere preso in considerazione è se si opera su un elemento vitale o su un elemento compromesso dal punto di vista strutturale. Questi ultimi comprendono l’elemento responsabile di una “Sindrome del dente incrinato” e i denti trattati endodonticamente. Nei casi in cui affrontiamo il restauro di un elemento vitale, che presenta spessori residui non compatibili con un restauro diretto, la scelta si orienta generalmente verso l’uso del composito ottimo materiale sia per un restauro di tipo onlay (quindi con una componente intracoronale che sconsiglierebbe l’uso di un materiale troppo rigido come la ceramica) che di tipo overlay.
Nei denti compromessi strutturalmente, di cui sopra, preferiamo orientarci verso materiali più rigidi, cioè con un modulo di elasticità più elevato, per ridurre la trasmissione di vettori di stress deformanti alla struttura sottostante. Per questo motivo ci orientiamo verso il Disilicato di Litio monolitico usato ovviamente solo in modalità overlay. Un vantaggio biomeccanico del del Disilicato di Litio è che, anche se utilizzato in spessori più sottili (1 mm o meno) rispetto al composito, una volta cementato in modo adesivo aumenta notevolmente la sua resistenza meccanica rispetto a quella che avrebbe prima della cementazione. Questo permette di contenere l’abbassamento occlusale del moncone a tutto vantaggio della sua resistenza intrinseca.
Nei casi (pochi purtroppo) in cui fosse possibile incollare il disilicato direttamente sullo smalto si verificherebbero le condizioni biomeccaniche ideali. Sia il composito che il Disilicato infatti, hanno un valore di Tenacità a Frattura Kc piuttosto basso ma in entrambi questo cresce drasticamente dopo incollaggio adesivo al substrato.
Altro aspetto fondamentale da prendere in considerazione nella scelta del tipo di restauro o del tipo di materiale è la sollecitazione meccanica che quell’elemento subirà nella bocca di quello specifico paziente. Fattori occlusali come la classe dentale, i rapporti overjet/overbite (in generale l’efficienza delle guide antero/laterali), parafunzioni diurne e/o notturne, edentulie parziali omo o controlaterali etc possono orientare verso la scelta di una protezione cuspidale parziale di tipo onlay oppure totale tipo overlay e nel preferire un materiale di tipo ceramico piuttosto che di tipo composito.
Il caso clinico: restauro indiretto parziale adesivo post-endodontico (Dr. Edoardo Fossati)
Nel caso clinico analizzato la paziente si presenta con un restauro post-endodontico su 1.6, fallito per frattura del restauro e della parete vestibolare del dente.
Si monta la diga e si isola il campo operatorio e si esegue un rialzo del margine vestibolare che, in seguita alla frattura della parete, si trovava in zona sub-gengivale. Successivamente viene eseguito il ritrattamento endodontico e, nella seduta successiva, la preparazione per un overlay in Disilicato di Litio.
Prima di eseguire la preparazione cavitaria, vengono analizzati gli spessori delle singole pareti residue e, in seguito, viene completata la preparazione. Immediatamente dopo viene eseguito il build-up, utilizzando un composito fluido di tipo bulk posizionato all’imbocco dei canali endodontici e nella camera pulpare. Il build-up viene completato utilizzando un composito compatto e viene rilevata l’impronta monolaterae bi-arcata utilizzando un materiale siliconico in doppia densità.
Durante la seduta di cementazione, prima di montare la diga ed eseguire l’isolamento del campo operatorio, viene provato l’intarsio: si controlla il colore, i punti di contatto e si esegue un controllo occlusale. Per quanto riguarda il colore, la prova dell’intarsio viene eseguita posizionando tra dente ed intarsio del gel di glicerina che elimina l’aria tra i due: essa causerebbe un incremento del valore percepito del restauro.
Isolato il campo operatorio, si condizionano le interfacce di adesione: l’overlay viene trattato con acido fluoridrico al 5% per 20 s ed immerso in alcool puro sottoponendolo ad un bagno ultrasonico per 5 minuti. Viene applicato il silano e, una volta asciugato, viene posizionato l’adesivo sulla superficie mordenzata della ceramica (senza foto-polimerizzare).
Il substrato dentale, invece, viene prima sabbiato, poi mordenzato selettivamente lo smalto ed infine trattato con adesivo senza eseguire polimerizzazione. L’intarsio viene cementato con composito flowable e, rimossi gli eccessi di cemento, viene polimerizzato per 2 minuti per superficie (vestibolare, occlusale e palatina). Si esegue la rifinitura e la lucidatura dell’interfaccia adesiva e smontata la diga si controlla il corretto matching cromatico e l’occlusione.